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La stregoneria nell’antica Roma. Interessante sezione del Museo Nazionale Romano

    Come spesso accade nella Città Eterna, i lavori per la realizzazione di un parcheggio ci hanno regalato una scoperta di eccezionale importanza perché ci permette di comprendere meglio la dimensione magica e le credenze degli antichi romani.

    All’interno della cisterna della fonte di Anna Perenna sono stati ritrovati moltissimi oggetti riconducibili ai rituali dei maghi romani che evidentemente utilizzavano per i loro rituali questo luogo sacro attivo dal IV sec. a.C. al V sec. d.C.

    La fonte era dedicata alla ninfa Anna a cui ogni quindicesimo giorno del mese di marzo veniva dedicata una festa molto licenziosa descritta da Ovidio nel terzo libro dei “fasti”. Uomini e donne di estrazione popolare si riunivano nei pressi della fontana per bere vino, cantare, danzare e …

    L’incrociarsi di questo rito arcaico che celebrava la fecondità e il rinnovarsi delle stagioni con la data dell’assassinio di Giulio Cesare ne ha evitato l’oblio presso le persone colte diventando probabilmente nel loro immaginario il prototipo di ogni rito pagano dove ritrovo licenzioso e pratica magica si fondevano.

    Non a caso uno dei principali miti sulla stregoneria è costituito dal sabba dove le streghe, ritenute donne anziane e ormai poco piacenti, si recavano per potersi accoppiare con il diavolo, ovvero l’ unico essere disposto ad accontentarle.

    Impossibile fermarsi innanzi alla vetrina contenete il pentolone di rame usato per preparare le pozioni magiche e non immaginare la strega Amelia intenta a bollire improbabili ingredienti al fine di rubare a Paperone la tanto amata numero uno.

    Un ruolo da protagonista lo hanno ovviamente le maledizioni che venivano sia incise su lamine in metallo, (defixiones), sia affidate a contenitori composti da tre scatole cilindriche in piombo inserite una dentro l’altra. Sulla scatola di mezzo veniva incisa la formula magica mentre nell’ultima scatola veniva posizionata a testa in giù una bambolina in cera, rappresentazione simbolica del bersaglio della maledizione. Molta cura si metteva ovviamente nell’evidenziazione del sesso e nella rappresentazione delle dita di mani e piedi che venivano intenzionalmente mozzate.

    Mentre è scontata l’invocazione a demoni e divinità orientali lasciano veramente perplessi le invocazioni a Cristo come ad esempio l’acronimo  inciso sul ventre del demone Abraxas il cui significato è: “Gesù Cristo Nazareno, il figlio, Cristo Nazareno e Dio,Dio,Dio” . Evidentemente il messaggio cristiano non era stato compreso appieno da tutta la società romana e molti si erano soffermati solo sulla figura di guaritore e “mago” del Cristo.

    Se soffrite per un amore non ricambiato potete provare il filtro d’amore miracoloso descritto in una vetrina dell’area museale. Il rituale per la verità è un tantinello complicato e prevede l’invocazione al demone dei morti però secondo i romani funzionava.

    Spilloni con cui infilzare bamboline, chiodi magici, pozioni, strumenti del “mestiere” ecc. sono esposti in modo impeccabile e vengono ben illustrati dai testi informativi.

    Il Museo Nazionale Romano ospitato nelle terme di Diocleziano, (di fronte alla stazione Termini di Roma), merita, a nostro giudizio, una visita sia per la grande qualità dei reperti collezionati sia per la professionalità e cura con cui vengono mostrati.


    Ettore Panella

     

    nota

    Sulla caccia alle streghe nel periodo tardomedioevale-rinascimentale hanno prosperato molti stereotipi senza fondamento, il seguente articolo divulgativo prova a distinguere gli stereotipi dalla realtà storica

    La caccia alle streghe. Cosa è successo realmente?

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